martedì 14 aprile 2009

CAPE TOWN INTERNATIONAL JAZZ FEST 2009

Cape Town, 3-4 Aprile 2009

CAPE TOWN INTERNATIONAL JAZZ FESTIVAL 2009
http://www.capetownjazzfest.com/

Il Cape Town International Jazz Festival si è tenuto il 3 e 4 Aprile 2009 presso il Cape Town International Convention Centre ed ha celebrato quest’anno il suo decimo anniversario, traguardo importante per questo evento definito “Il più grande raduno d’Africa”.
In effetti la statura del festival è indiscutibile: da anni è incluso tra i primi festival jazz al mondo, insieme al Montreaux Jazz Fest, al North Sea Jazz Fest ed al Newport Jazz Fest.
La line up degli artisti che si sono susseguiti in questi due giorni intrisi di musica è impressionante: oltre 40 band su 5 palchi che ha visto performance di artisti africani ed internazionali, con un unico comun denominatore intenso in tutte le sue poliedriche sfaccettature: il Jazz.
I festeggiamenti, oltre che per la prima decade di vita del prestigioso festival, riguardavano altresì alcuni degli artisti che si sono esibiti: il leggendario trombettista sudafricano Hugh Masekela ha celebrato proprio sul palco di Città del Capo i suoi 70 anni; e la cantante sudafricana Abigail Kubeka ha degnamente ricordato l’esordio della più grande jazz opera sudafricana “King Kong” avvenuto esattamente 50 anni fa ed al seguito del quale è decollata la carriera internazionale della vocalist così come quella di Miriam “Mama Africa” Makeba, a cui l’amica Abigail Kubeka ha dedicato la sua performance sul palco di Città del Capo.
Sempre a Miriam Makeba, recentemente scomparsa, era dedicata la superba galleria fotografica Duotone Gallery che ripercorreva la sua carriera come cantante, la sua capacità di incantare il pubblico con la sua voce, i canti poliritmici della sua terra di origine ed il suo impegno politico contro il regime dell’apartheid che comportò l’esilio dalla sua terra per oltre 30 anni.
Altri interessanti eventi collaterali al festival sono stati un workshop di improvvisazione e tecnica jazz ed un seminario dedicato a giornalisti specificamente riguardante il giornalismo nell’ambito della musica.
Praticamente impossibile assistere a tutte le performance, visto che molti concerti avvenivano in contemporanea ma indubbiamente il Cape Town International Jazz Festival ha saputo offrire ai suoi oltre 35.000 spettatori un’ampia scelta a seconda dei differenti gusti musicali: la grande arena al coperto denominato Kippies Stage ha accolto prevalentemente le performance di artisti influenzati dalla World Music e dalle loro profonde radici africane; il palco all’aperto del Basil “Manenberg” Coetzee Stage ha invece dato spazio al soul-jazz ed al groove; l’anfiteatro Rosies ha offerto principalmente performance di artisti ricollegabili al jazz inteso nella sua accezione più pura, così come il Moses Molelekwa Stage ha dato spazio a musicisti che hanno esplorato i meandri più sperimentali di questo linguaggio musicale; infine il Bassline Stage, caratterizzato da sonorità nu-jazz e da contaminazioni elettroniche.
Di conseguenza anche il pubblico era ugualmente variopinto: indubbiamente multietnico, quasi a testimoniare che la buona musica trascende da ogni divisione razziale; vi erano inoltre aficionados che seguivano il festival sin dal suo esordio, dall’età avanzata ma nonostante ciò ugualmente euforici e elettrizzati, così come un pubblico più giovane ed incline ad ascoltare le sfumature più attuali del jazz, senza assolutamente disdegnare performance di musicisti che erano al vertice della loro fama quando gli stessi (ed anche il sottoscritto!) non erano ancora nati. Infine pare che vi fosse altresì una discreta presenza di star internazionali giunte in Cape Town appositamente per il festival tra cui Robert De Niro, Sharon Stone, Mariah Carey e Clint Eastwood.

Durante il primo giorno del Jazz Fest ho assistito all’incredibile performance di Dr. Philip Malombo Tabane, geniale chitarrista sudafricano che dagli anni ’60 raccoglie riconoscimenti da tutto il mondo. Mi è parso da subito evidente che per Dr. Tabane suonare una chitarra non è soltanto una sterile riproduzione di note, crome e semicrome. La sua chitarra sembra parlarti in un dialetto tradizionale, riproducendo ritmiche delle etnie Pedi e Venda.
Successivamente il Kippies ha accolto calorosamente lo show di Jonathan Butler & Dave Koz, due artisti dal background differente ma con la stessa passione per la musica. Jonathan Butler è cresciuto nei ghetti di Cape Town, circondato dalla povertà ma determinato a coltivare il suo amore per la musica.
La sua voce colpisce e mi fa correre un brivido lungo la schiena. Quando poi viene affiancato dal pluripremiato sassofonista americano il pubblico esulta e si cimentano in uno smooth jazz dove chitarra e sax interagiscono in perfetta armonia.
Altamente evocativa la performance di Magic Malik Orchestra. Il flauto di Magic Malik è un nomade: nato nella Costa d’Avorio, cresciuto in Guadalupa, approdato a Marsiglia. Il suo trip sonoro è profondamente influenzato dai suoi viaggi e dalle sue esperienze musicali in culture differenti. “Le mie collaborazioni a 360 gradi, da St. Germain a Buena Vista Social Club, sono dei veri e propri workshop che mi permettono di espandere i miei orizzonti e di muovermi verso nuove direzioni” dice Mr. Magic Malik.
Il suo album “13 XP song’s book” rappresenta perfettamente la sua musica, stimolante ma al tempo stesso accessibile. “Non mi piace quando il Jazz diviene troppo teoretico. Spero la mia musica risulti intellettualmente soddisfacente e, contemporaneamente, faccia muovere il corpo”.
Incantato da Magic Malik Orchestra perdo l’inizio del concerto degli inglesi Shakatak. Adorati in Sudafrica, gli Shakatak ipnotizzano Città del Capo con il loro stile caratterizzato da equilibrio tra le loro solide radici jazz, il loro beat prettamente dance ‘70, le voci femminili che li contraddistinguono rispetto alle altre band funk. Il pubblico balla, si diverte, beve birra Castle.
Su consiglio di un fotografo di Cape Town vado a sentire i Gold Fish.
I Fishies, cosi’ sono soprannominati dai numerosi fan presenti al Bassline stage, sono un duo composto da David Poole e Dominic Peters. Manipolano laptop, Roland MC 909, Rhodes e Nord Electro2, per creare un tappeto sonoro elettronico su cui innestare elementi live come sax e contrabbasso. Il tutto condito con un MC esplosivo… praticamente una bomba ad orologeria che è esplosa nel centro di Cape Town! Sonorità house da clubbing ibizenco - non a caso hanno appena inciso un album dal titolo “Perception of Pacha”- sfumature trip hop ed anche dub quando si cimentano con successo in un mix di “I shot the sheriff” di Bob Marley, poi immancabile il jazz con campionamento del piano di “My baby (just cares for me)” di Nina Simone,… decisamente magnetici. Una rivelazione!
Ormai in ritardo sulla mia tabella di marcia, mi sposto al Kippies Stage dove già suonano i Freshlyground. Questa band sudafricana, che ritorna al Cape Town Jazz Festival dopo il loro esordio nel 2004, è molto attesa dal pubblico adorante che affolla l’enorme arena, e mi incuriosiscono per il loro stile eclettico che miscela il suono della mbira con quello del violino!! Il loro album “Ma’Cheri” ha vinto ben quattro South African Music Award incluso Album dell’anno. Dal vivo rappresentano perfettamente la loro peculiarità cosmopolita attingendo dal kwela, dall’Afro beat, dal funk, rock e soul e trasmettendo energia contagiosa che travolge il pubblico.
Mentre mi dirigo verso il Rosies Stage per vedere la performance di un gigante del Jazz quale Al Foster vengo dirottato da un sound che mi colpisce inaspettatamente: al Moses Molelekwa Stage sta suonando The Robert Glasper Experiment, quartetto di musicisti talentuosi che si approcciano alla musica con una fusione di jazz e cultura urbana hip hop. Vantano collaborazioni prestigiose con artisti del calibro di Wynton Marsalis, Roy Hargrove, Erykah Badu e Mos Def e nel loro live sondano nuove frontiere con il supporto di laptop, sampler, vocoder ed altri gadget elettronici, producendo sonorità futuristiche, strutture progressive e virtuose improvvisazioni.
Dopo questa sorprendente digressione sperimentale mi aspetta la performance di un mostro sacro del Jazz inteso nella sua accezione più pura: Al Foster. Batterista che ha scritto pagine indimenticabili della storia del Jazz al fianco di Miles Davis, si è esibito per la prima volta in Sud Africa in quartetto accompagnato da musicisti dotati di una tecnica impeccabile, precisione e rapidità nell’esecuzione. Al Foster dimostra, nonostante la sua età, di possedere ancora quel groove che conquistò Miles Davis quasi 40 anni fa. La sua performance si conclude con un’originale interpretazione di “Jean Pierre” in tributo al leggendario trombettista rievocato dallo stesso Al Foster nella presentazione della sua band; imitando la voce roca di Miles il batterista ironizza su se stesso…”I can’t believe he’s a band leader!”. Grandissimo concerto. Applausi.
In attesa della performance impedibile di Incognito assisto a parte dello show di Zap Mama. La band, nata come quintetto vocale a cappella esclusivamente femminile, si è progressivamente trasformata includendo strumenti e collaborazioni con artisti di ogni angolo del pianeta. Nonostante la componente vocale rimanga il fulcro della loro musica ho apprezzato la miscela di funk, soul, pop e reggae così come il coloratissimo vestito psichedelico della leader Marie Daulne ed il suo cappello-vinile.
Il primo giorno del Cape Town Jazz Fest si conclude con lo show di Incognito.
Premessa: negli ultimi tre anni ho visto questa band in tre diversi continenti e con tre diverse formazioni ed ogni volta sono rimasto folgorato dai loro live.
La band inglese da quasi 30 anni è un riferimento nella scena acid-jazz e nel tempo ha visto susseguirsi centinaia di collaborazioni con artisti di ogni angolo del pianeta: Mauritius, Barbados, Indonesia, Nuova Zelanda, India, Ghana…riflettendo la loro inclinazione per il multiculturalismo musicale. Lo stesso Hugh Masekela registrò alcune tracce del loro primo album “Jazz Funk”.
Indubbiamente la dinamo degli Incognito è il leader e chitarrista Jean Paul ‘Bluey’ Maunick. Personaggio consapevole del potere della musica di unire le persone, di offrire loro qualcosa che non è materiale ma che ti entra dentro, profondamente radicato alla musica africana e politicamente impegnato in campagne di sensibilizzazione per il Darfur, costantemente ispirato dalla vita e dall’interscambio di energia che stabilisce con il suo pubblico.
La performance vede susseguirsi brani come “When the sun comes down” dedicato alla figlia e tratto dall’ultimo album “Tales from the Beach” con dei classici della loro carriera come “Still a friend of mine”. 100% acid jazz con una sezione fiati potente, una ritmica da metronomo sincopato e voci dalla timbrica incredibile.
Memorabile momento quando incita la platea a non spaventarsi davanti ai cambiamenti della vita, ed immediatamente traduce in musica il concetto invitando il batterista, il pianista ed il bassista a scambiarsi gli strumenti…incredibilmente, per una matematica proprietà commutativa della musica di qualità, invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia: il groove è lo stesso, inconfondibile!!! Il pubblico spende le ultime energie ballando, cantando ed applaudendo entusiasta, il sottoscritto nuovamente rimane folgorato dalla loro performance impeccabile.

Il secondo giorno decido di iniziare il Cape Town Jazz Fest assistendo allo spettacolo dei Napalma. Questa band nata dall’unione di musicisti mozambicani e brasiliani scalda sin dapprincipio il Bassline Stage con un cocktail di groove elettronici e percussioni tradizionali. Ivo Maia, bandleader, canta in inglese, portoghese e changana (lingua del Sud del Mozambico) e riesce a far scatenare il dance floor con beat e ritmiche Afro-brasiliane che intersecano samba, dub, kwaito e drum and bass. Non mancano i fans mozambicani a supportare la band. Niente male come inizio per il secondo giorno di festival, positive vibration!!
Sempre al Bassline Stage segue la performance degli attesissimi 340ml. Nel suono del quartetto è chiaramente percepibile la loro origine mozambicana, sebbene amino definire la propria musica come musica contemporanea sudafricana. Dentro 340 ml ci stanno in parti uguali reggae, dub, ska, rock, world music, latin, e marrabenta mozambicana.
Si erano già esibiti dal vivo al Cape Town Jazz Fest nel 2005 ed il loro ritorno è acclamato dal numeroso pubblico. Hanno sapientemente flirtato con il pubblico miscelando canzoni dell’ultimo album “Sorry for the delay” con tracce dell’album di esordio “Moving”. Special guest sul palco anche il sax di Moreira Chonguiça.
Vista la concomitanza dei concerti decido di perdermi la performance di Dianne Reeves per assistere all’esibizione di Maceo Parker nel Kippies Stage.
E’ innegabile che Maceo Parker sia un sassofonista di riferimento nella scena funk. Per oltre 10 anni fu il sax alto di James Brown e con il suo stile inconfondibile al sax alto intraprendeva spesso arditi duetti con la voce del ‘Godfather of Soul’. Poi militò tra le file dei Parliament-Funkadelic di Gorge Clinton…insomma il suo passato è intriso di funk!
Dal vivo esordisce definendo la propria musica come “2% jazz e 98% funky stuff” ed il pubblico apprezza decisamente la sua capacità di creare riff che emulano l’agilità della voce umana, oltre ai movimenti di bacino che Mr. Dynamite James Brown deve avergli insegnato personalmente. Memorabile la versione di “Georgia on my Mind” in omaggio a Ray Charles cantata da un Maceo Parker con tanto di occhiali scuri e voce commossa.
Momenti da brivido anche durante l’immancabile hit funk ’70 “Pass the Peas” con la quale la band, definita dallo stesso Maceo Parker come “the greatest little funk orchestra on earth”, riesce a sconvolgere la platea estasiata del Kippies.
Incredibilmente funk il chitarrista Bruno Speight ed anche il bassista Rodney Curtis. Concerto assolutamente memorabile.
Prima di assistere al gran concerto di Hugh Masekela di chiusura del festival riesco a vedere parte della performance di Mos Def. Rumors davano la sua esibizione come uno degli eventi più attesi ed infatti il Bassline Stage è strapieno di gente esultante per la performance del rapper americano. Il suo impegno per riportare l’hip hop alle sue radici di movimento di contestazione sociale, allontanandolo dallo stereotipo del gangsta rap, oltre a collaborazioni con artisti come Femi Kuti lo hanno reso uno dei personaggi di riferimento dell’hip hop contemporaneo.
A Cape Town si esibisce insieme a The Robert Glasper Experiment e la fusione tra il cantato del rapper ed il sound urbano della band è fenomenale, una bomba che esplode tra il pubblico facendolo saltare.
Sebbene abbia apprezzato la performance di Mos Def decido di recarmi al Kippies Stage per il concerto di Hugh Masekela in chiusura del festival.
Il leggendario trombettista sudafricano proprio oggi compie sul palco 70 anni. Una vita che lo ha visto dal 1960 al 1990 costretto all’esilio a causa del regime dell’apartheid, 30 anni trascorsi tra Stati Uniti, Inghilterra e molti paesi africani durante i quali ha portato con sé la musica del suo Sud Africa arricchendola e contaminandola con le esperienze vissute con il Jazz e con il Pop.
Vera e propria icona musicale, propone in anteprima il suo ultimo album “ Phola”, quintessenza di Masekela dove si alternano momenti introspettivi dai toni distesi con provocatorie e pungenti critiche sociali. A dispetto dell’età Masekela appare in splendida forma, il suono della sua tromba è pulito e senza esitazioni e lui trasuda energia che coinvolge la folla immensa accorsa ad assistere al suo show.
Pochi altri musicisti sono riusciti a far conoscere la musica africana al resto del mondo quanto lui e la sua performance riesce infatti a esprimere in musica un viaggio che ripercorre tutta l’Africa: dall’Afro beat nigeriano yoruba, durante la spettacolare cover di “Lady”, in onore al grandissimo Fela Kuti; al brano “Moz” dedicato al Mozambico, paese che nell’ultimo album viene rappresentato dalla collaborazione con il leggendario chitarrista Jimi Dludlu; passando dal Malawi, terra di Erik Paliani, multistrumentista e produttore eccezionale.
La band ha un sound solido, che non lascia spazio a cali di tensione anzi incalza il pubblico mentre la voce di Hugh Masekela si fa sentire come il ruggito di un leone nella savana. Davvero unica l’opportunità di assistere ad un suo concerto nella sua terra, mentre la gente che mi circonda danza inarrestabile sulle note di classici del repertorio del trombettista.
Attimi di commozione quando viene portata sul palco una grande torta per celebrare il compleanno di Hugh Masekela, 70 anni di Sud Africa vissuti sulla sua pelle e nella sua musica mentre cori di auguri si alzano spontanei dalla platea. 100 di questi giorni, Hugh!
Non poteva concludersi meglio la decima edizione del Cape Town International Jazz Festival, un paradiso musicale sceso in terra per due giorni di jazz a 360 gradi.

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